Giulietto Chiesa , intervista su Superclan

Giulietto Chiesa , intervista su Superclan

"E' la continuazione di La guerra infinita. Volevo scoprire dove nasce 'il superclan', questo gruppo di individui che ha determinato la fisionomia della globalizzazione degli ultimi vent'anni."

Intervista a John Foot su Milano dopo il miracolo

Intervista a John Foot su Milano dopo il miracolo

La passerella delle sfilate e l’ufficio tutto vetri e computer hanno soppiantato la catena di montaggio. Armani al posto di Falck. E l’emigrante che dal Sud arrivava alla Stazione Centrale ha ceduto il passo a un catalogo di volti che parlano di tanti mondi, ben più lontani. Negli ultimi cinquant’anni Milano è stata al centro di tutte le grandi trasformazioni sociali, culturali, politiche ed economiche che hanno trasformato l’Italia. Questo libro ne racconta la storia in maniera non convenzionale, tracciando un’avvincente biografia della città e dei suoi abitanti anche attraverso gli edifici (le case di ringhiera e i palazzoni dei quartieri dormitorio), il design, la moda, la televisione, il cinema. Tante microstorie che, insieme, contribuiscono a spiegare i macrocambiamenti di Milano dal dopoguerra a oggi: un intreccio di vitalità, ricchezza, innovazione e conflitto sociale che ha le sue radici negli anni Cinquanta e Sessanta, quando la capitale del ‟miracolo” guida lo straordinario boom economico del Paese. Poi, sempre in prima linea, Milano vive il Sessantotto e gli ‟anni di piombo”; si reinventa negli anni Ottanta, come epicentro della moda, della pubblicità e del terziario, tiene a battesimo nuovi fenomeni come la Lega e Forza Italia. E da ‟capitale morale” diventa Tangentopoli. L’analisi di Foot abbraccia tutti questi fenomeni con un occhio allenato da una salda metodologia storica, cosi da cogliere le dinamiche profonde e i problemi brucianti che stanno dietro la città-vetrina.

Richard Rorty oltre la filosofia contro la guerra

Richard Rorty oltre la filosofia contro la guerra

Intervista al filosofo americano Richard Rorty, negli ultimi mesi in prima fila tra coloro che sono impegnati contro la guerra all'Iraq. "Non ci sono magiche pallottole intellettuali - dice - l'idea che la filosofia possa invocare il grande potere chiamato ragione è un'idea sbagliata come quella che i sacerdoti possano invocare il grande potere chiamato dio". In un suo saggio recente aveva previsto che per distrarre dalla disperazione i più poveri sarebbero stati sufficienti pseudo-eventi creati dai media, comprese guerre occasionali, brevi e sanguinose. La casta dei nuovi ricchi creata dalla globalizzazione ne uscirebbe rafforzata, mentre agli altri non resterà che rammaricarsi di una così debole resistenza avanzata da una sinistra latitante

Richard Rorty è cresciuto nell'ambiente della sinistra americana, ben prima di diventare uno dei più noti filosofi contemporanei. Entrambi i genitori erano fedeli simpatizzanti del partito comunista fino al 1932 e poi attivi antimilitaristi impegnati nei circoli intellettuali della sinistra libertaria e socialista, dove i punti di riferimento privilegiati erano il poeta Walt Whitman e il filosofo John Dewey. La dedizione di Rorty alla filosofia ha inizio nel `46 a Chicago dove insegnava tra gli altri Rudolf Carnap, l'allievo di Frege che, tra gli altri, ha contribuito alla diffusione della filosofia analitica in America. Dopo aver discusso una tesi su Whitehead nel 1949, Rorty ha portato a termine il suo dottorato a Yale nel 1956. Il Wesley College, l'Università di Princeton, quella della Virginia e infine la Stanford University, dove ancora insegna, hanno scandito gli spostamenti della sua carriera accademica. Dopo essersi formato alla scuola analitica, negli anni `70 Rorty se ne allontanò in modo clamoroso proponendo una mediazione tra filosofia del linguaggio ordinario, pragmatismo ed ermeneutica. Si rese così protagonista di una vera e propria svolta nella filosofia americana - già preannunciata con La svolta linguistica del 1967 - aprendosi alla filosofia europea. Il primo passo di questa svolta, espresso nel suo libro del `79, La filosofia e lo specchio della natura si realizza nella critica all'idea tradizionale, sostenuta da Cartesio fino a Husserl, che la conoscenza sia una rappresentazione, un rispecchiamento mentale del mondo esterno. La fine di una filosofia "spettatoriale", fondata su una verità universale che richiederebbe la validità del criterio di corrispondenza e di conformità, è d'altronde anticipata tanto da Heidegger, che da Wittgenstein e da Dewey, protagonisti della incrinatura di questo paradigma epistemologico. Rorty ha rifiutato la concezione della filosofia come "scienza rigorosa", difesa ancora dal positivismo e dalla fenomenologia, e ha invece mirato a una trasformazione della filosofia - come si legge in Conseguenze del pragmatismo - che deve rinunciare ad essere paradigma di obiettività per divenire filosofia storico-letteraria, in grado anzitutto di edificare il dialogo. E' così che Rorty si è avvicinato alle posizioni dell'ermeneutica, sebbene il suo pensiero si sia andato precisando in un senso fortemente etico e politico. Nella cultura "postfilosofica" di oggi, dove sono venuti meno i tradizionali vincoli religiosi, filosofici, politici e sociali, è necessario per Rorty rafforzare un atteggiamento etico di simpatia e solidarietà - come scrive nel suo libro dell'89, Contingenza, ironia e solidarietà - che siano alla base della comunità. È in questo senso che il compito della filosofia diviene quello di ricercare non la verità, ma la felicità. Così la filosofia può rispondere meglio a quelle richieste, anzi a quelle urgenze, che si presentano ogni volta in forma nuova a partire dalle diverse contingenze storiche e individuali. Negli ultimi scritti Rorty ha offerto un panorama complesso e variegato di quella che nel futuro molto prossimo potrebbe essere "la filosofia dopo la filosofia". Questa intervista riflette quello che è l'impegno recente del filosofo americano contro la guerra all'Iraq, che per quanto sembri inevitabile, è tuttavia di giorno in giorno più delegittimata, non solo in Europa, ma negli ambienti intellettuali degli Stati Uniti.

Intervista a Paul Smaïl, o Jacques-Alain Léger o Melmoth o Dashiell Hedayat o…

Intervista a Paul Smaïl, o Jacques-Alain Léger o Melmoth o Dashiell Hedayat o…

Abbiamo intervistato il provocatorio autore, dopo l'uscita in Francia della fiction politica On en est là, in cui Jack-Alain Léger ha rivelato di essere anche Paul Smaïl, l'autore di Ali il Magnifico.
‟Ho cambiato molti pseudonimi, ho cominciato come Melmoth, diventando poi Dashiell Hedayat. Sono francese, ma con una macedonia di origini, nonno inglese, bisbisnonna algerina, sangue ebreo, insomma, non mi sento di nessuna origine.”