Fieri della Resistenza perché...
Settant’anni fa la Resistenza nacque da una scelta. Nel
crollo delle istituzioni e dello Stato, l’8 settembre del
1943 segnò per gli italiani una sorta di resa dei conti con
se stessi. “Tutti a casa” fu lo slogan che
segnò i comportamenti di quanti vissero quella data come un
invito a rinchiudersi nel calore protettivo della famiglia, affollando
una sorta di "zona grigia" che durante i venti mesi della lotta
partigiana avrebbe avuto come unico obbiettivo quello della
sopravvivenza. Altri scelsero in modo opposto, interpretando
l’8 settembre come la fine di una stagione di carestia morale
e di avvelenamento delle coscienze.
Fu la scelta consapevole di chi visse la Resistenza come il momento in
cui prevalse l’esigenza di non doversi più
vergognare di se stessi, di riscattare, con quel gesto, venti anni di
passività e di ignavia. Lo ha ricordato con forza Vittorio
Foa. "Paion traversìe, sono opportunità" fu il
motto di Gianbattista Vico che capovolse lo sgomento in voglia di
azione, l'umiliazione in desiderio di riscatto. Tra le macerie
dell'Italia fascista nacque un nuovo senso di appartenenza nazionale,
fondato su un “senso del dovere” che si sostituiva
a ogni altro impulso, anche a quello della sopravvivenza; era quella
l'ora in cui si era chiamati a testimoniare, come disse Eugenio Colorni
, "il bisogno di non avere niente da rimproverarti , di essere in pace
con la tua coscienza, presentabile di fronte a qualsiasi istanza
giudicante". Fascismo e antifascismo si definirono come i due fronti
opposti di una battaglia che avveniva tra due diverse concezioni del
mondo: da una parte il conformismo, la difesa dello stato di cose
presenti, l'abitudine al compromesso e al tirare a campare; dall'altra
un imperativo categorico ad agire, la consapevolezza che solo nella
lotta, nel conflitto, nell' opposizione si era in grado di realizzarsi
compiutamente come uomini liberi. Era un’Italia guardata con
sospetto e diffidenza da chi non ha mai capito perché tanti
operai, tanti contadini, tante casalinghe abbiano affrontato- nel nome
dell'antifascismo- lunghi anni di galera e i pericoli della lotta
armata pur di non rassegnarsi al conformismo e all'opportunismo della
maggioranza.
E fu quella scelta che oggi ci rende fieri della Resistenza.
Fieri della Resistenza...
"Bisogna scrivere questi fatti, perché fra qualche decennio una nuova rettorica patriottarda o pseudoliberale non venga a esaltare le formazioni dei purissimi eroi: siamo quello che siamo..." continua
#2 - Perché è un miracolo organizzativo"Tendiamo a dimenticarci che quei 20 mesi sono stati maledettamente lunghi, che la Resistenza è stata un processo complesso, talvolta tortuoso, che ha conosciuto trionfi e sconfitte, progressi e ritirate." continua
#3 - Perché è una rivoluzione morale"Entusiasmo, passione politica e civile, generosità venivano messe in campo spontaneamente per costruire un paese migliore." continua
#4 - Perché è una testimonianza di impegno civile e religioso"Entusiasmo, passione politica e civile, generosità venivano messe in campo spontaneamente per costruire un paese migliore." continua
#5 - Perché insegna a disubbidire e a pensare"Non si trattava tanto di disobbedienza a un governo legale, perché proprio chi detenesse la legalità era in discussione, quanto di disobbedienza a chi aveva la forza di farsi obbedire. Era cioè una rivolta contro il potere dell'uomo sull'uomo, una riaffermazione dell'antico principio che il potere non deve averla vinta sulla virtù" continua
#6 - Perché insegna a scegliere"Per chi scelse di combattere contro i nazifascisti si trattò di ridefinire il rapporto con la propria esistenza, e con la morte." continua
#7 - Perché senza resistenza non ci sarebbe stata la Repubblica"La forza dell’accoppiata 25 aprile-2 giugno è proprio questa: aver indicato, attraverso un’assemblea Costituente votata dal 90% degli italiani, i lineamenti di una democrazia fondata sull’armoniosa convivenza tra i valori e le identità comuni alle tre grandi famiglie politiche e culturali che hanno fatto la storia del nostro paese." continua
#8 - Perché indica cosa può essere uno "spirito europeo""Si combatteva al fronte e si combatteva a casa: il nemico non era solo lo straniero, ma anche il vicino di casa o un parente, dal quale si era separati da un abisso ideologico." continua
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Giovanni De Luna ha per anni insegnato Storia contemporanea all’Università di Torino. Le sue ricerche sulla Resistenza prendono l’avvio dalla Storia del Partito d’Azione pubblicato da Feltrinelli nel 1982 e ripubblicato dagli Editori riuniti (1997) e dalla Utet ( 2006); su quel filone di studi si è sviluppato un’attività di studio e di riflessione storiografica che ha privilegiato con assiduità i temi dell’antifascismo e della tradizione di Giustizia e Libertà.
Autore di fortunate trasmissioni radiofoniche e televisive, negli ultimi anni ha intensificato la sua collaborazione con Rai Storia, collaborando alla striscia quotidiana de Il Tempo e la Storia e curando la riedizione della trasmissione di Sergio Zavoli, La notte della repubblica.
Con Walter Barberis ha curato la Mostra “Fare gli italiani” allestita a Torino nel 2011 in occasione delle celebrazioni del 150° anniversario dell’Unità d’Italia che ha fatto registrare alla fine 500 mila visitatori.
Nel 2011, con Mario Martone ha curato il progetto “Fare gli italiani. Teatro,” 22 spettacoli organizzati dal Teatro Stabile di Torino in occasione dei 150 anni dell’unità d’Italia.
Con Andrea Camilleri ha curato la serie “150. Le storie d’Italia”, 8 DVD pubblicati da La Repubblica- L’espresso. con la storia d’Italia letta e analizzata da Andrea Camilleri, Carlo Lucarelli, Melania Mazzucco, Alessandro Baricco, Dacia Maraini, Sandro Veronesi, Giancarlo De Cataldo, Francesco Piccolo.
Scrive sulla “Stampa”, su “Repubblica” e sul “Venerdì”. Tra i suoi libri più recenti :
Il corpo del nemico ucciso. Violenza e morte nelle guerre contemporanee, Einaudi, Torino, 2006, pp.1-234 (traduzione spagnola, El cadàver del enemigo. Violenza y muerte en la guerra contemporànea, 451 editores, Madrid, 2007);
Le ragioni di un decennio, 1969-1979. Violenza, militanza, memoria, sconfitta, Feltrinelli, Milano, pp.1-245, 2009;
La Repubblica del dolore. Le memorie divise nell’Italia di oggi, Feltrinelli, Milano, 2011, pp.1-201;
Una politica senza religione, Einaudi, Torino, pp.1-187, Torino, 2013
La Resistenza perfetta
Nel settantesimo anniversario della Liberazione, Giovanni De Luna ha voluto mettere di nuovo a punto un’immagine della Resistenza che si stava offuscando. Con grande efficacia, De Luna ha scelto una storia, un luogo, alcuni personaggi: un castello in Piemonte, una famiglia nobile che decide di aiutare i partigiani, la figlia più giovane, Leletta d’Isola, che annota sul suo diario quei mesi terribili ma anche meravigliosi in cui comunisti e monarchici, aristocratici e contadini, ragazzi alle prime armi e ufficiali dell’ex esercito regio lottarono, morirono, uccisero per salvare la loro patria, la loro libertà, il futuro di una nazione intera. Mesi in cui, tra il cortile della sua villa di famiglia e le montagne tutt’attorno, si formò veramente quell’unità che diede origine al mito della Resistenza. Certo, quell’unità e quella tensione ideale furono di breve durata, e a partire dal 25 aprile del 1945 ognuno avrebbe percorso la sua strada. Ma per Leletta, e per tantissimi italiani, restò sempre nella memoria il ricordo di una “Resistenza perfetta”, non come ideale irraggiungibile, ma come concreta realizzazione, capace di salvare la patria.