Di cosa parliamo quando parliamo di Al Qaeda. Intervista a Jason Burke

Di cosa parliamo quando parliamo di Al Qaeda. Intervista a Jason Burke

‟ Tendenzialmente, dopo l'11 settembre 2001, si è cominciato a considerare tutte le minacce terroristiche come il lavoro di un solo uomo: Osama Bin Laden. Mentre il più delle volte era il coordinatore di progetti altrui piuttosto che il capo che poteva contare su risorse proprie. Funzionava un po' da venture capital del terrore: gli sottoponevano un'idea e lui aiutava nel finanziamento e netta messa a punto… L'idea di Al Qaeda è così meravigliosamente semplice che se non esistesse dovremmo inventarla. Le agenzie Antiterrorismo possono applicare l'approccio standard: hanno un bersaglio. E l'Fbi, un po' come l'antimafia da voi, ha bisogno di un'entità di cui si può essere membri. Tuttavia vari governi - quello americano, britannico, uzbeko, filippino e russo per citarne alcuni - se ne sono approfittati a fini interni. Avevano problemi domestici significativi, vuoi decenni di abusi di diritti umani, vuoi politiche imperialistiche in atto. E invece di intavolare seriamente un rapporto con il mondo islamico hanno eletto un super-nemico che li esonerava da tutte le responsabilità: "Al Qaeda ci attacca, noi rispondiamo". Anche in Iraq i cosiddetti "guerriglieri stranieri" sono solo una manciata, eppure se ne parla moltissimo: perché è più facile dare la colpa all'Internazionale del terrore piuttosto che ammettere che c'è una feroce resistenza interna.”

Michael scatenato: colloquio con Michael Moore

Michael scatenato: colloquio con Michael Moore

Parla il regista americano che con il film 'Fahrenheit 9/11' ha dichiarato guerra al presidente George Bush. E dice cosa pensa dello sfidante democratico John Kerry.

Banana Yoshimoto. Giapponesi e quarantenni nel mezzo di una crisi di nervi

Banana Yoshimoto. Giapponesi e quarantenni nel mezzo di una crisi di nervi

L'autrice più famosa del Giappone e la principessa esaurita: due donne e un destino che ha molto in comune. Perché? "Siamo nel cuore di una lotta generazionale… Avere quarant'anni in Giappone significa vivere in una terra di mezzo, sospesa tra i più tradizionalisti, che non riescono a stare al passo coi tempi, e i giovani che si godono il benessere economico con spensieratezza. Noi non ci identifichiamo con nessuno di questi due modelli. Anche Masako probabilmente ha questa difficoltà. Arranchiamo e cerchiamo a tentoni un nuovo sistema di valori". Banana è un po' l'icona vivente di come questa ricerca di nuovi valori possa portare a un processo di integrazione tra vecchio e nuovo. Lei ha un pupazzetto buffo (il fantasmino Q- Taro) tatuato sulla spalla sinistra e ascolta i Red Hot Chili Peppers, ma è in grado di celebrare la meticolosissima cerimonia del Tè. Ha una passione irremovibile per l'ultratradizionale "teatro No", ma poi si scopre che il suo regista preferito è Dario Argento: "Quando ho visto per la prima volta Suspiria, a 14 anni, ho capito di non essere sola".

Iran, il corpo della rivolta. Intervista a Bijan Zarmandili, autore di La grande casa di Monirrieh

Iran, il corpo della rivolta. Intervista a Bijan Zarmandili, autore di La grande casa di Monirrieh

Un'idea di libertà che corre lungo la storia dell'Iran moderno, attraverso il corpo ferito di una giovane donna che ha cercato di lavare con la morte lo scandalo che la perdita della sua verginità ha provocato intorno a lei. Al centro del romanzo che il giornalista iraniano Bijan Zarmandili, che è nato a Teheran ma vive a Roma fin dal 1960 dove si occupa del Medio Oriente per il gruppo Espresso, c'è la memoria dolente, ma portata con grande coraggio, di una donna e dei suoi affetti. Ma c'è anche una delle chiavi possibili per accedere a quel mondo musulmano che rappresenta per molti aspetti, almeno in Occidente, il grande "altro" della nostra epoca. Un colloquio con Zarmandili supera perciò necessariamente i confini, sempre che ne abbia, della letteratura.