Umberto Galimberti: L´angoscia dell´Occidente. Noi indifesi di fronte all´Ignoto

17 Febbraio 2003
Andiamo in fondo a questa paura degli americani (e anche nostra) e cerchiamo di capire. L´11 settembre non ha determinato solo il crollo delle Due Torri, ma la "possibilità" che le Torri in qualsiasi momento e in qualsiasi luogo della terra d´Occidente possano di nuovo crollare. La nostra economia e la nostra tecnica, che finora sono stati i capisaldi della nostra sicurezza, hanno mostrato tutta la loro vulnerabilità. Siamo indifesi di fronte all´imprevedibile e, come i primitivi, torniamo ad assaporare quel sentimento da cui, sempre grazie alla nostra tecnica e alla nostra economia, ci pensavamo emancipati.
Sto parlando dell´angoscia che non è la paura. Perché la paura è un ottimo meccanismo di difesa di fronte a un pericolo "determinato". Le sue strategie sono la fuga o l´attacco. L´angoscia è un sentimento paralizzante di fronte a un pericolo "indeterminato", da cui la fuga e l´attacco non ci difendono, perché il pericolo è ovunque e in nessun luogo, può essere in questo momento o in qualsiasi momento. Qui non serve fuggire o attaccare, serve "razionalizzare", serve "capire" perché il mondo s´è fatto per noi minaccioso.
E, non il pericolo determinato, ma la "pericolosità" come minaccia non identificabile, ma ovunque incombente, è ciò che ci attanaglia in quel non-luogo che sono tutti i luoghi, in quell´ora che sono tutte le possibili ore. Questo è l´effetto dell´11 settembre: non un "fatto", che come tutti i fatti la storia si incarica di seppellire, ma la "possibilità" che questo fatto abbia una sua ripetibilità e sia il nostro incombente futuro.
E allora la "razionalizzazione" (e non "l´attacco" che aumenta la minacciosità del futuro) chiede di andare alla radice dell´angoscia, per scoprire se alle volte non è la nostra stessa potenza, la nostra di noi occidentali, così sproporzionata rispetto a quella del resto del mondo ad angosciarci segretamente.
Lanciati nel nostro sviluppo che non avviene a spese di nessuno, perché, già ce lo ricordava Omero: "Nessuno" nasconde sempre il nome di qualcuno, forse abbiamo dimenticato la misura e siamo diventati s-misurati. E magari con qualche colpa se è vero che il nostro stile di vita richiede di raccogliere energia viva dai quattro angoli della terra per restituirla degradata.
Questa è la riflessione che dobbiamo fare se vogliamo fare i conti con la nostra angoscia. Che è lì a dirci, prima del cecchino dietro l´angolo, prima dell´attacco batteriologico, prima di quello atomico, prima dell´attentato terrorista, che forse abbiamo oltrepassato la misura e dobbiamo rientrare nel limite. Rimuovere questo avvertimento dell´angoscia collettiva, non volerlo riconoscere, ci obbligherà a convivere con l´inquietudine che, come un tarlo, roderà dall´interno il nostro benessere, ormai divaricato dalla quiete dell´animo e dalla serenità. Lo diceva già Aristotele in un suo libro di etica: "Chi non conosce il proprio limite, tema il destino".

Umberto Galimberti

Umberto Galimberti, nato a Monza nel 1942, è stato dal 1976 professore incaricato di Antropologia Culturale e dal 1983 professore associato di Filosofia della Storia. Dal 1999 è professore ordinario …