Giorgio Bocca: Periferie, il lato oscuro delle città

14 Novembre 2005
Le periferie metropolitane dell’Italia padana. Sterminate barriere coralline di case e di casoni, di milioni di tane per esseri umani. Quella milanese: quaranta chilometri in verticale, dalle marcite di Pieve Emanuele ai laghi di Varese e di Como, quaranta chilometri in orizzontale fra Busto Arsizio e Treviglio, in espansione continua con la Nuova Fiera e l’Hub della Malpensa verso Novara. Una sessantina di chilometri quella torinese, a cerchio attorno alla città sabauda, fiumi di auto sulla circolare, lassù la basilica di Superga a fare da perno. Due immensi agglomerati urbani in cui nel giro breve di mezzo secolo si sono scaricate le invasioni senza battaglie ma con fatiche e pene senza fine delle immigrazioni interne ed esterne, che non si faceva tempo a capirle ed erano già digerite o cambiate: un va e vieni di moltitudini dalle antiche città di Ambrogio e dei Savoia al tessuto interminabile di borghi che si sono fusi e si riconoscono solo da indicazioni grafiche, i cartelli stradali, le insegne del metrò, le bandiere delle squadre di calcio, non le divise dei vigili urbani, rimaste identiche a quelle vecchie dei "ghisa" milanesi o dei "civic" torinesi. Primi arrivano i "terroni" del miracolo economico negli anni Cinquanta con le loro "coree": le baracche di legno e di latta e gli orti da coltivarci insalata e pomodori che nelle notti lombarde e torinesi diventeranno case in muratura, tetti a riparo delle piogge e della neve. Poi la mescolanza definitiva, il meticciato generale e spontaneo delle etnie, questo sì un miracolo vero, destinato in parte a finire nel patriottismo leghista, il patriottismo trasformista degli ultimi arrivati. Che ne è rimasto della gloriosa classe operaia e del partito di Gramsci e di Togliatti nelle periferie del Nord? Poco, dentro una decadenza direi logistica: da un anno all’altro le sedi del partito chiuse o trasferite, le camere del lavoro chi sa dove a indirizzi sconosciuti. Nelle periferie del Nord la classe operaia non esiste più. L’hanno politicamente massacrata, l’automazione le ha tolto il controllo del lavoro, l’unica vera arma che possedesse. Gli operai ci sono ancora ma non sono più al centro della politica, campano anche loro in qualche tana della "barriera corallina". Molti si drogano come i borghesi, la cocaina arriva ogni mattina con i camionisti, da Genova. E passa subito nei bar, dove la mettono nei sacchetti delle patatine fritte o dello zucchero. Drogati ormai di ogni ceto abitano in tutta la periferia di Milano e di Torino. Un vecchio socialista che si occupa dell’Unità sanitaria di Gorgonzola, ogni tanto mi telefona per raccontarmi cosa succede ogni sera a Sant’Elembardo dove c’è il villaggio della fondazione Crespi, vicino a Gorla e dove - dice lui - ‟i ragazzi sono bianchi come un lenzuolo in viso e dentro neri come la morte. Sai quanto durano i soldi di un’auto rubata per drogarsi, il centone che prendono dai carrozzieri ricettatori? Due o tre giorni”. La droga gira veloce nella periferia milanese. A due passi dall’aeroporto dei vip c’è via Uccelli di Nemi, dove sta l’aula di giustizia in cui hanno processato Adriano Sofri. Uccelli di Nemi, un ingegnere che ha dato nome a una strada che sta fra i casoni di Ponte Lambro, dove c’è anche una caserma dei carabinieri con porte e finestre sempre chiuse, forse per non vedere ciò che accade nel quartiere. Quattro famiglie mafiose controllano il mercato della "roba", nei portici sono ancora appesi i manifesti del politico che annuncia una sua visita ‟per conoscere meglio i problemi della zona 13, la cittadinanza è pregata di intervenire”. Ma non lo sa che le vedette della droga vanno su e giù in auto per la strada che sta fra i due casoni bianchi, a passo d’uomo, come se scivolassero sull’asfalto. C’è molta droga e poca politica nelle periferie del Nord. Milano si è svuotata, il costo delle case e quello degli affitti sono insostenibili dal ceto medio, gli annunci pubblicitari in televisione mostrano i nuovi quartieri residenziali appena costruiti, le villette con giardinetto e garage che a pensare di doverci vivere ti si gela il cuore. Eppure c’è gente anche ricca che ha il gusto della periferia, forse gli piace vedere da vicino come vivono gli italiani comuni. Anni fa conoscevo una figlia del banchiere Zincone. ‟Tu che fai il giornalista, mi disse, potresti aiutare mio padre a cercare un nome per il quartiere che sta costruendo vicino all’autostrada per Bergamo?”. Ci studiai per qualche giorno e le diedi un elenco. Una settimana dopo mi telefona per invitarmi a pranzo al quartiere Zincone dalle parti del Giambellino e mi dice che suo padre aveva già trovato il nome: Zinconia. Sono andato al pranzo nella villa del Giambellino. Al centro di un prato enorme c’era una piscina enorme. Erano invitati i più noti immobiliaristi di Milano. Forse gli piaceva essere osservati dai balconi dei condomini circostanti. Adesso poco distante c’è un ristorante che apre alle sette del mattino. Si fermano a mangiare una bistecca fiorentina quelli che vanno in ufficio. Gli abitanti di Milano e di Torino, città cariche di storia, di opere d’arte e di bellezze architettoniche, hanno un debole un po’perverso per le periferie puzzolenti e rugginose. A Milano la buona società predilige le osterie lungo i navigli verso Pavia e Vigevano. Ce n’è una, il Bettolino di Gazzano, dove era difficile trovare posto; ci arrivai una sera e in una saletta c’erano Giangiacomo Feltrinelli e Rudi Dutschke, il rivoluzionario, a mangiare il pollo alla piastra e i nervetti. è sempre rimasta a Milano una oscura attrazione per la periferia. E anche quando vennero i Natali tutti d’oro della Rinascente, a celebrare le feste si andava a Quarto Oggiaro, l’Ortica, Lambrate, il Giambellino, nei piccoli ristoranti sotto un gasometro; ma soprattutto a Carnevale e a Pasqua forse per sfuggire alla terrea felicità di massa, cupa, totale, obbligatoria. Natali tutti d’oro in piazza Duomo, Natali di eccitazione e di novità nelle periferie, dove l’Italia povera cercava di sopravvivere, ma si toglieva anche il gusto della prima volta: la prima volta che i "cafoni" delle terre del sud andavano al lavoro in motoretta; la prima volta che a Ferragosto i poveracci andavano al mare e stavano in coda nelle auto; la prima volta che gli operai della Fiat e della Pirelli si fermavano e con loro si fermava l’Italia intera. Eravamo eccitati, presi dal nuovo, solo ogni tanto ci accorgevamo che il mondo stava cambiando. Me ne accorsi una mattina a Bergamo. Solo pochi anni prima dalla città alta vedevi l’ordine contadino ai tuoi piedi, immobile da millenni: i campi verdi di erba; quelli gialli del frumento dentro la punteggiatura dei gelsi; i cascinali a distanza regolare, la distanza percorribile dalle bestie da lavoro; e laggiù, in un tempo silente, Milano. E ora tutto era cambiato, violentato, case e fabbriche nate con la benedizione del papa bergamasco, il Giovanni XXIII di Sotto il Monte. ‟Mi sun mia bigot - diceva suo fratello Giusepi - ma i me porta i bloc”. Così partiva con le prime pietre in valigia, a farle benedire dal fratello. Nella periferia che cambiava, la Chiesa dei parroci era molto più attenta alle mutazioni sociali che non i partiti del cambiamento. Il Partito comunista di Togliatti si era mosso alla conquista del Paese al motto: ‟Una sezione in ogni parrocchia”. Ma non era di sezioni che avevano bisogno gli immigrati, ma di oratori per farci giocare i loro bambini, di preti caritatevoli per aiutare anche i figli finiti in prigione. La Celere di Scelba faceva sparire i briganti politici: quelli della Banda Cavallero, di via Osoppo o della Volante rossa di Lambrate. Ma per aiutare le famiglie, per sistemare i figli, ci volevano i don Colmegna della Caritas, la preveggenza del cardinal Martini. C’è stato negli anni un grande andirivieni fra città e periferie. Alcuni dei ricchi che si erano rifugiati nella villetta in campagna dalle parti della Malpensa sono stati costretti dal fragore degli aerei a far ritorno in città. Ad altri è andata peggio, sono stati rapinati con violenza e stupri dalla nuova delinquenza arrivata dai Balcani o dall’Africa. E così l’anagrafe ha registrato negli ultimi due anni un piccolo ritorno a Torino e a Milano. Torino è di nuovo sul milione di abitanti, Milano sul milione e trecentomila, ma il grande ritorno non ci sarà: il traffico nelle città continua a crescere, così come l’aria avvelenata.

Giorgio Bocca

Giorgio Bocca (Cuneo, 1920 - Milano, 2011) è stato tra i giornalisti italiani più noti e importanti. Ha ricevuto il premio Ilaria Alpi alla carriera nel 2008. Feltrinelli ha pubblicato …