Giorgio Bocca: Indulto. La clemenza troppo estesa

28 Luglio 2006
Dopo due giorni di una battaglia che ha attraversato i Poli, che ha visto un ministro andare in piazza con il megafono e un altro minacciare le dimissioni, la Camera ha trovato la maggioranza dei due terzi necessaria ad approvare l’indulto. È stato così superato un passo critico per il centrosinistra, uno dei tanti "problemi dei problemi" per dirla come i cronisti parlamentari, posti dalla esile maggioranza. Il commento del presidente della Camera Bertinotti è stato: ‟Oggi è una bella giornata: quando le istituzioni sono capaci di una clemenza che allevia anche una pena supplementare a quelle comminate dal giudice, vedi il sovraffollamento delle carceri, è la dimostrazione che vince lo Stato di diritto”. Nel caso italiano si tratta di una clemenza necessaria alla sopravvivenza dello Stato date le condizioni disastrose del nostro sistema carcerario. I detenuti sono 62.000 in locali che ne possono accogliere in modo civile non più di 42.000.
È un popolo di poveracci e di abbandonati, i soliti frequentatori delle prigioni di tutto il mondo, un terzo tossicodipendenti o stranieri, molti malati, buona parte in attesa di un giudizio che tarda ad arrivare, tutti privati della libertà probabilmente non per ravvedersi ma per fare una esperienza criminogena che li restituirà, in molti casi, peggiorati alla società civile. Una tragedia delle società industrializzate di cui non si conoscono rimedi seri ma a cui ogni tanto si applicano dei pannicelli caldi come gli indulti.
A questa clemenza si è pagato un prezzo alto in termini politici e simbolici: e l’aspro dibattito che ha attraversato il centrosinistra ne è la testimonianza. La legge stabilisce che per approvare un indulto occorra una maggioranza dei due terzi: i voti del centrodestra sono perciò determinanti. In questa come in altre occasioni l’area conservatrice ha subito mostrato il suo lato debole, la comprensione per i "furbetti del quartierino", per i corrotti, per quei reati che una certa borghesia non considera proprio tali. E ha imposto il suo diktat: senza l’estensione dell’indulto a quei reati niente accordo. Un ricatto perfettamente comprensibile in un centrodestra che ha fatto della battaglia giudiziaria per difendere il Cavaliere e Previti il leit motiv della passata legislatura.
Naturalmente alla fragilità e alla coda di paglia del governo si accompagnano regolarmente i ricatti dei cavalli sciolti fosse solo per questioni di visibilità. L’onorevole Di Pietro ha trovato nell’occasione una nuova forma di lotta: si è autosospeso dall’incarico di Ministro per andare sulle piazze a protestare contro la eccessiva indulgenza verso i grandi corrotti notori. E sa il cielo quanto siano stati tentati di seguirlo tutti coloro che lo conobbero negli anni della rivincita legale.
Ma nella logica di governo questo è un comportamento anarcoide, se si stabilisce che un indulto è necessario e che può passare solo con i due terzi del Parlamento si sta al compromesso stabilito con la opposizione, non si provoca e non si accetta il vantaggio elettorale che l’operazione di dissenso comporta. Dal canto suo anche il ministro della Giustizia Mastella ha colto l’occasione per minacciare le dimissioni. Minacce poco credibili e comunque incomprensibili: se si sale sulla barca del governo non si può minacciare di scenderne dopo cento metri. Entrambi sembrano aver cercato un palcoscenico sull’emergenza carceri.
Sembra che la classe politica non si renda conto della sua debolezza e dei pericoli che corre. Anche nella gestione della giustizia, dovrebbe fare in modo che il problema delle carceri venga risolto prima che arrivi al disastro: solo così può garantire che la macchina democratica funzioni e non si incarti nelle sue contraddizioni.

Giorgio Bocca

Giorgio Bocca (Cuneo, 1920 - Milano, 2011) è stato tra i giornalisti italiani più noti e importanti. Ha ricevuto il premio Ilaria Alpi alla carriera nel 2008. Feltrinelli ha pubblicato …