Giuliana Sgrena: Iraq, tragedia quotidiana nel fallimento americano

15 Settembre 2006
Tutti gli occhi sono puntati sul Libano, l'Iraq non fa più notizia. Nonostante il massacro di 100 persone al giorno, secondo la stima delle Nazioni unite. Così è stato anche ieri, 32 vittime di autobombe e mortai. Ma la scoperta più raccapricciante era avvenuta nella notte con il ritrovamento di 65 cadaveri che portavano segni di torture praticate prima del colpo di arma da fuoco mortale.
La guerra sporca degli squadroni della morte non ha più quartiere: una quarantina di cadaveri sono stati trovati in quartieri sunniti, una ventina in quelli sciiti e altri 5 galleggiavano sul Tigri all'altezza di Suwayrah, a 40 chilometri a sud di Baghdad. La guerra civile che sta dissanguando il paese da tempo ha come effetto la pulizia etnica: nella capitale i sunniti occupano la parte occidentale del Tigri e gli sciiti quella orientale, dove erano già prevalenti, le zone miste stanno scomparendo. Proprio mentre l'Alleanza unita irachena (il blocco confessionale sciita) sta forzando i tempi in parlamento (con una legge la cui discussione è stata rinviata al 19 settembre) per arrivare alla formazione di una regione autonoma sciita nel sud del paese. Che faccia da contraltare al Kurdistan iracheno che ormai da tempo sembra essersi staccato - anche se non formalmente, ma in Iraq esiste forse una legalità? - dall'Iraq.
In Kurdistan - meno penalizzato dalla guerra e favorito se così si può dire dall'occupazione - arrivano investimenti dall'estero e sebbene lo status di Kirkuk non sia ancora stato stabilito, i kurdi stanno già sfruttando il petrolio dei suoi giacimenti vendendolo anche all'estero. Del resto persino durante l'embargo, ai tempi di Saddam, le maggiori entrate del Kurdistan autonomo provenivano dai dazi fatti pagare sul contrabbando dell'oro nero verso la Turchia. Il Kurdistan va per la sua strada e il sud sciita si sta sempre più iranizzando, nonostante l'occupazione. E non a caso la ‟guida suprema” iraniana Alì Khamenei ha approfittato della visita del premier iracheno Nuri al Maliki per garantire il sostegno iraniano ma sottolineando che l'occupazione deve finire. Lo sostengono anche gli iracheni e un gruppo di avvocati, per raccogliere il sentimento popolare ostile all'occupazione, ha promosso una petizione per il ritiro delle truppe straniere che però ha trovato l'appoggio di soli 104 deputati (su un totale di 275), soprattutto sunniti. Quindi per poter arrivare a una discussione in parlamento e a una sua approvazione la strada della petizione è ancora molta da fare. Anche perché la maggioranza dei deputati dell'Alleanza unita irachena, i cui leader hanno passato l'esilio a Tehran, non l'hanno sottoscritta. Nonostante il premier Maliki in questi giorni a Tehran abbia firmato accordi in vari campi con il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad.
Nuri al Maliki si trova stretto tra gli americani e gli iraniani. Gli Usa gli permettono di rimanere al potere e nello stesso tempo lo rendono inviso alla popolazione sciita bombardando il quartiere Sadr city per dare la caccia ai miliziani di al Mahdi, l'«esercito» del radicale Muqtada al Sadr.
Gli iraniani, che stanno mettendo le mani sull'Iraq, lo tengono buono mentre stanno fomentando le ali più estreme dello sciismo. Alcuni osservatori ritengono che la fazione di Muqtada al Sadr si candiderebbe a giocare il ruolo simile a quello che Hezbollah ha giocato in Libano. La debolezza di al Maliki e del suo governo è evidente. Ultimamente sono corse voci di un tentato golpe a Baghdad, il primo tentativo sarebbe fallito ma i suoi fautori (l'ala dura sciita) non sarebbero intenzionati a desistere. Probabilmente anche la guerra sporca degli squadroni della morte non è estranea al precipitare della situazione. Registrata anche dal rapporto del Government accountability office (Gao) Usa pubblicato nel quinto anniversario dell'11 settembre, che sottolinea il peggioramento delle relazioni (un eufemismo!) tra gruppi etnici e religiosi e l'indebolimento del senso di identità del popolo iracheno. Ma il rapporto non parla della divisione dell'Iraq sponsorizzata dagli Stati uniti fin dal 1991 con la creazione delle no-fly zone.
Il Gao, che cita il Pentagono, riferisce che gli attacchi contro le forze della coalizione e le forze irachene sono aumentate del 23 per cento dal 2004 al 2005 e che il numero degli attacchi da gennaio a luglio del 2006 sono aumentati del 57 per cento rispetto allo stesso periodo del 2005. Mentre un grafico del rapporto è ancora più esplicito: gli attacchi sono saliti da 100 nel maggio del 2003 (era l'inizio della resistenza all'occupazione, ndr) ai circa 4.500 del luglio 2006, contro le truppe di occupazione, le forze irachene e i civili. Ma il rapporto non prende in considerazione il maggior fallimento degli Sati uniti in Iraq: il potere conquistato dagli iraniani.

Giuliana Sgrena

Giuliana Sgrena, inviata de ‟il manifesto”, negli ultimi anni ha seguito l'evolversi di sanguinosi conflitti, in particolare in Somalia, Palestina, Afghanistan, oltre alla drammatica situazione in Algeria. Negli ultimi due …