Vanna Vannuccini: Il mesto addio di Misha Wolf, la spia che venne dal freddo

13 Novembre 2006
Markus "Misha" Wolf è morto. La notte scorsa, nel sonno, nel suo letto, ha comunicato la famiglia. Per una spia a cui per anni avevano dato la caccia i servizi segreti di tutto il mondo una morte così serena è l’ultimo exploit. Ma lui, da quando il suo Stato - la Ddr - non esisteva più, si vedeva come un generale sconfitto. Aveva dovuto cambiare la spada con la penna, per guadagnarsi da vivere come scrittore. Negli ultimi quindici anni aveva scritto di tutto. Di cucina russa, di storie della sua famiglia (il padre, scrittore e medico, ebreo e comunista, era emigrato negli anni 30 prima in Francia e poi a Mosca), fiabe, libri di memorie. Sempre senza rivelare niente che non fosse già noto. Tanto che l’attesa autobiografia, da cui il suo editore americano si aspettava grandi confessioni ebbe un successo modesto per la mancanza di rivelazioni e Hollywood se ne disinteressò. Eppure Misha Wolf avrebbe visto volentieri Paul Newman nei suoi panni. In fondo era stato una delle grandi spie del secolo, la cui capacità era riconosciuta e invidiata dalla Cia e dal Mossad, che mai avrebbero dato un centesimo per gli uomini del Bundesnachrichtendienst, i servizi segreti della Germania occidentale. Che cosa fa una grande spia, gli chiesi una volta. Era l’ottobre del 1989, ed era una delle prime interviste che avesse mai dato a un giornale occidentale. All’Hotel Palast di Berlino est, stanza 609, dove arrivò da una scala di servizio, raccomandandomi che non l’aspettassi nella hall. Già da un po’ di tempo aveva visto arrivare la fine del comunismo e aveva pensato di premunirsi prendendone le distanze. Simpatizzava con la perestrojka di Gorbaciov, e presentando nella Ddr un libro apparentemente neutro che aveva appena scritto sulla sua famiglia, non mancava mai di dire ‟qualcosa di dissidente”. Non per nulla ha sposato una bella e gentile signora, Andrea, che dissidente lo è stata: addirittura aveva conosciuto le prigioni della Ddr per aver tentato una volta la fuga all’ovest. ‟Due sono le qualità di una spia” mi rispose. La prima è la memoria, una memoria che lui aveva straordinaria, soprattutto la capacità di ricordare i minimi, più banali dettagli. La seconda, su quella hanno sempre concordato tutti i suoi collaboratori, era non abbandonare mai nessuna delle persone che lavoravano per lui. Non farle sentire mai sole. ‟Per me non sarai mai una piccola ruota nell’ingranaggio” scrisse a una agente che lavorava per lui dal Bundesnachrichtendienst, quando lei gli annunciò che voleva smettere. I suoi successi furono leggendari. Due volte gli era riuscito di far passare dalla propria parte i capi - proprio i capi - dei servizi segreti tedesco-occidentali, Otto John nel 1954 e Tiegte nel 1985. Non si serviva mai di prostitute, non era il suo genere. Hausfrauen, donne di casa, belle ma soprattutto devote alla causa. Sulla sua scrivania è arrivata tutta la corrispondenza top secret tra Washington e Bonn negli anni cruciali della Guerra Fredda. E quale non è stata la sua sorpresa, al processo che la Germania riunificata gli ha fatto negli anni 90, quando il giudice ha letto una lettera personale di Nixon a Willy Brandt di cui Guillaume (la spia di Wolf accanto al cancelliere) si era appropriato con uno scambio di valigette, ma non era poi riuscito a far arrivare a Berlino est. Wolf ha sempre considerato quel processo, in cui fu condannato a due anni, ‟giustizia dei vincitori”. In effetti, vi era apparso come il protagonista, anche se il capo della Stasi era a tutti gli effetti Mielke. Colpa di un mito che Misha per trent’anni aveva coltivato. Era lui l’uomo che per i suoi nemici non aveva avuto un volto, fino alla storica foto, in un elegante negozio di Stoccolma, nel 1979, accanto a una bella signora. Come ‟uomo senza volto” aveva viaggiato perfino negli Stati Uniti. Negli ultimi anni ha cercato, invano, di sminuire il mito: lo spionaggio, mi ha detto nell’ultimo colloquio telefonico di qualche mese fa, è una faccenda minore, una cosa collaterale, che viene montata come se fosse fondamentale.

Vanna Vannuccini

Vanna Vannuccini è inviata de “la Repubblica”, di cui è stata corrispondente dalla Germania negli anni della caduta del Muro. Ha seguito le Guerre balcaniche, lavorato in diversi paesi e, …