Giuliana Sgrena: Iraq. La sporca eredità di George W. Bush

17 Marzo 2008
Bush non si rassegna a lasciare l'Iraq. Nemmeno quando non sarà più alla Casa bianca: il suo successore, chiunque sia, sarà messo di fronte al fatto compiuto. Prima che scada il suo mandato e quello dell'Onu in Iraq, a fine anno, Bush è intenzionato a varare un accordo bilaterale militare con Baghdad. Che comprende anche aiuto contro aggressioni esterne: sono compresi anche gli sconfinamenti turchi? Dopo la storica visita di Ahmadinejad a Baghdad invece l'Iran non dovrebbe più essere un pericolo. E poco importa se la presenza militare Usa in Iraq è fallimentare e anche l'astro di Petraeus sta già declinando: le vittime in Iraq sono tornate ad aumentare in febbraio: 633 civili uccisi contro i 460 di gennaio.
L'accordo bilaterale imposto a Nouri al Maliki, il premier iracheno sotto accusa per l'incapacità di far fronte alla situazione e ansioso di rientrare nelle grazie della Casa bianca, prevede una maggiore(!) autonomia degli Stati uniti nelle operazioni militari che continueranno e la totale impunità per i combattenti, contractor compresi. Se per al Maliki non sarà facile far accettare agli iracheni l'occupazione a tempo indeterminato (il governo iracheno aveva detto che non avrebbe accettato un rinnovo del mandato oltre il 2008) anche Bush non supererebbe la prova del Congresso. Per questo la Casa bianca sostiene che non è necessaria l'approvazione del Congresso. Perché? Questo accordo può rientrare nella risoluzione approvata dal congresso nel 2002, che autorizzava l'uso della forza contro Saddam Hussein, e quella del 2001, dopo l'attacco alle torri, che autorizzava azioni militari «per prevenire ogni futuro atto di terrorismo internazionale contro gli Stati uniti».
Secondo l'ufficio legislativo del Dipartimento di stato queste risoluzioni avallano operazioni di combattimento in Iraq a tempo indeterminato. Poco importa se Saddam è stato impiccato, se le armi di distruzione di massa non c'erano, se gli autori degli attentati alle torri non erano iracheni, se il terrorismo in Iraq è arrivato solo dopo l'inizio dell'occupazione. Allora chi costituisce oggi una minaccia in Iraq? «Non penso che si possa sostenere che è Saddam Hussein. Allora è il governo iracheno?», si è chiesto il deputato democratico Gary L. Ackerman. La posizione dell'amministrazione ha suscitato la dura reazione di Ackerman, che l'ha definita, martedì durante una udienza tesa della commissione degli affari esteri, una «piena autorizzazione all'amministrazione per continuare a tempo indeterminato la guerra senza limitazioni». Le condizioni del 2002 non esistono più, ha aggiunto e ha chiesto una risposta entro 24 ore. Ma per Jeffrey T. Bergner del Dipartimento di stato l'autorizzazione esiste con o senza mandato Onu.
La presenza militare statunitense è strettamente legata al controllo del petrolio iracheno. Il cui sfruttamento è oggetto di una nuova e contestata legge. Una prima bozza era stata inviata al parlamento nel febbraio del 2007, ma non è mai stata discussa per divergenze con i kurdi, che rivendicano lo sfruttamento dei loro pozzi. Prima ancora che si definisca lo status di Kirkuk (dove si produce circa il 40 per cento del petrolio iracheno), il governo kurdo ha già firmato contratti con compagnie straniere per i nuovi pozzi scoperti nella zona di Suleimanyia e al confine con la Turchia. Una nuova bozza sarà discussa nel parlamento iracheno a partire dal 18 marzo, ma c'è anche chi contesta la necessità di una legge. Con o senza legge si saranno i marine a controllare i giacimenti.

Giuliana Sgrena

Giuliana Sgrena, inviata de ‟il manifesto”, negli ultimi anni ha seguito l'evolversi di sanguinosi conflitti, in particolare in Somalia, Palestina, Afghanistan, oltre alla drammatica situazione in Algeria. Negli ultimi due …