Giulia Carcasi: discorso per l’inaugurazione dell’anno accademico 2008/2009 all’Universitaà La Sapienza di Roma;

04 Dicembre 2008
Il discorso che Giulia Carcasi ha tenuto in conferenza stampa – la cerimonia dell’inaugurazione è stata interrotta dagli studenti dell’Onda che protestano contro il decreto Gelmini –in cui la scrittrice parla del significato che ha per lei la didattica.

Roma, 28 novembre 2008

Quando ci viene chiesto che cosa pensiamo di un argomento e ragioniamo di conseguenza, si dovrebbe poterlo fare non sulla base della posizione che la pedina occupa sulla scacchiera ma sulla base della mobilità della pedina stessa. Parlo da qui, ma lontana dalla presunzione di insegnare.
Vorrei leggervi una storia. È la storia di Eisik figlio di Jekel di Cracovia.

Dopo anni e anni di dura miseria, che però non avevano scosso la sua fiducia in Dio, Eisik ricevette in sogno di andare a Praga per cercare un tesoro sotto il ponte che conduce al palazzo reale. Quando il sogno si ripeté per la terza volta, si mise in cammino e raggiunse a piedi Praga.
Ma il ponte era sorvegliato giorno e notte dalle sentinelle ed egli non ebbe il coraggio di scavare nel luogo indicato. Tuttavia tornava al ponte tutte le mattine, girandovi attorno fino alla sera.
Alla fine il capitano delle guardie, che aveva notato il suo andirivieni, gli si avvicinò e gli chiese amichevolmente se avesse perso qualcosa o se aspettasse qualcuno. Eisik gli raccontò il sogno che lo aveva spinto fin lì dal suo lontano paese.
Il capitano scoppiò a ridere: ‟E tu, poveraccio, per dar retta a un sogno, sei venuto fin qui a piedi? Ah, ah, ah! Stai fresco a fidarti dei sogni! Allora anch’io avrei dovuto mettermi in cammino per obbedire a un sogno e andare fino a Cracovia in casa di un ebreo, un certo Eisik figlio di Jekel, per cercare un tesoro sotto la stufa! Eisik figlio di Jekel, ma scherzi? Mi vedo proprio a entrare e a mettere a soqquadro tutte le case di una città in cui metà degli ebrei si chiamano Eisik e l’altra metà Jekel!” e rise nuovamente.
Eisik lo salutò, tornò a casa sua e dissotterrò il tesoro con il quale costruì la sinagoga intitolata ‟Scuola di Eisik figlio di Iekel”.
Ricordati bene di questa storia e cogli il messaggio che ti rivolge: c’è qualcosa che tu non puoi trovare in alcuna parte del mondo, eppure esiste un luogo in cui la puoi trovare.


Questa storia viene raccontata in una scuola e si conclude con l’apertura di una scuola. Eisik il tesoro lo ha dentro casa, ma per saperlo deve esporsi al viaggio, perché l’apprendimento e la didattica passano attraverso territori stranieri, la curiosità per passaporto, l’occasione di un incontro (la guardia), la consapevolezza di una verità che non abbiamo e di un’altra da seguire. Nel viaggio diventiamo. E da diventàti ci accorgiamo che un tesoro ce l’abbiamo già: è il diventare stesso. Dico ‟diventàti” e non cambiati, perché è illusorio pensare di cambiare se prima non si diventa, se la nostra personalità resta in potenza senza tradursi in atto.
La didattica non è cambiamento, è il diventare che lo precede e rende possibile.
Eisik è ostinato fin dall’inizio, cerca conferme al suo sogno, potremmo chiamarlo idea e non farebbe alcuna differenza. Eisik non cambia, Eisik diventa.
La guardia è immobile nel suo scetticismo e lì resta, non a caso la guardia è un lavoro di sospetto, sta sul ‟chi va la” ma egli stesso non va da nessuna parte, il sogno che ha fatto è vero ma non lo ascolta e non lo segue. La verità è inutile se non la segui o se non la dai a qualcuno che la possa seguire. I due non cambiano, ma scambiano, tra di loro c’è un passaggio di testimone perché diventare non è un percorso che viene fatto in solitaria o, almeno, non dovrebbe.

Dividere un territorio con qualcuno è fondamentale, perché serve a stabilire i perimetri e nel prendere le misure dell’altro inevitabilmente stabiliamo le nostre. Qui finisco io, qui cominci tu e viceversa. Da soli viene facile barare, ridursi ma ancora di più aumentarsi in spessore. Il mondo è pieno di persone che indossano vestiti di una taglia diversa rispetto a quella che dovrebbero indossare. La mancanza di confronto genera sistemi chiusi, ‟ignoranza di secondo grado” (non sapere di non sapere), che è molto più grave di quella di primo grado (non sapere e basta) perché il ‟non sapere di non sapere” ostruisce la conoscenza, mortifica la curiosità, crea presunzione e presuntuosi. Chi presume non esce mai scalfito da un incontro, ha già in testa l’ultima da dire ed è indipendente da qualunque penultima che l’altro potrà dire. In questo modo le idee non divengono e non si diviene. Gli incontri hanno a che fare più con le semine che con le raccolte. Bisogna uscirne con pensieri aggiunti, non tolti.
Ci sono sistemi aperti e sistemi chiusi.
Un sistema chiuso è una pentola con un coperchio sopra, scambia col mondo calore, ma non scambia materia, che è quello che veramente fa la differenza perché è ciò di cui siamo impastati e che la didattica dovrebbe cercare di far lievitare. La pentola con il coperchio è un sistema a sé, un aeroporto in sciopero senza arrivi né partenze, una rosa che nessuno odora, è inutilizzato e inutile.
Quando si toglie il coperchio si ha un sistema aperto: scoperti rinunciamo a una protezione, usciamo dal guscio dell’assoluto, dei sempre, dei mai, smettiamo di presumere, il nostro respiro si mischia a un respiro più grande, ogni boccata d’aria assume una composizione diversa, esce ed entra, circola. Ci sono elementi che funzionano solo quando circolano: il sangue in pompa, il ciclo dell’acqua, l’aria a finestre spalancate per rimescolare lo stantio. La conoscenza credo appartenga a questa categoria.

Lo scambio è utile alla conoscenza anche quando coinvolge persone non alla pari, anche il confronto con un bambino può essere illuminante o con un vecchio, perché ci mette di fronte alla necessità di semplificare, di ridurre ai minimi termini: ‟non hai capito veramente qualcosa se non sei in grado di spiegarla a tua nonna” sosteneva Einstein. Chissà che anche l’incontro con un cretino non possa rivelarsi utile.
Eisik e la guardia sono diversi eppure la storia non andrebbe avanti se non si incontrassero, il tesoro resterebbe sepolto: Eisik per paura della guardia continuerebbe a non avvicinarsi e la guardia continuerebbe a fare il suo sogno e ad accantonarlo al risveglio. A tutt’oggi non so se ho appreso di più dalle persone sbagliate o da quelle giuste. In ogni caso non mi pento di essere stata in ricezione.

La didattica, in quanto evoluzione, ha molto a che fare con il diverso e l’inatteso.
Un giorno in una specie di farfalle bianche (Biston Betularia) spunta una farfalla nera, è l’imprevisto, la mutazione, resta in minoranza fino agli anni ’50 finché cominciano a farsi sentire gli effetti dell’industrializzazione e i muri diventano neri di fuliggine. A quel punto la farfalla nera sul muro nero è la prima che si salva e si riproduce perché i predatori non possono vederla. È la farfalla nera che porta avanti la specie. Il diverso, l’imprevisto può essere sacro, va capito prima di reprimerlo.
Certe mutazioni, come certe idee non messe in conto, possono essere regali e come tali non vanno rimandati al mittente. È come se Eisik portasse il tesoro alla guardia, come se Colombo dopo essere arrivato in America avesse detto ‟no, però io cercavo le Indie” e fosse tornato indietro: non sempre quello che si cerca e quello che si trova coincidono, a volte non troviamo quello che cerchiamo ma dobbiamo saper accogliere quello che troviamo senza cercarlo.
L’intelligenza è fatta anche di deviazioni, di Americhe scoperte mentre si cercano Indie.

Ci sono domande che creano squarci. Mi piacerebbe che non venissero archiviate con una toppa, ma che ci si affacciasse su quel precipizio. Perché la didattica dovrebbe farci familiarizzare con le profondità e non con le superfici, dovrebbe spiegarci come si affonda e si risale, farci sentire il tonfo continuo delle nostre idee, insegnarci a declinare la ragione, sapere quando la abbiamo e quando un altro la possiede, invitare al dubbio perché più dubitiamo, più arriviamo a sapere. E più siamo liberi.
Viviamo nel ventunesimo secolo, in una civiltà occidentale moderna, siamo abituati a crederci liberi perché possiamo scegliere tra più canali televisivi e marche di biscotti, ma la libertà di scegliere prevede la consapevolezza dei propri desideri, senza questa consapevolezza le nostre scelte non sono nostre: qualcuno da fuori, dall’alto ci dice cosa dobbiamo desiderare e noi desideriamo.
Quando si vuole ridurre la libertà di pensiero di un uomo si fa in modo che non chieda.

Un tempo i professori venivano chiamati corpo-docente perché col corpo insegnavano, soprattutto leggevano ad alta voce in aula, insegnare era un lavoro di gola e quante gole per lo sforzo si ammalavano. Adesso la salute degli insegnanti è al riparo, usano il microfono, vanno dalla logopedista, invitano a leggere ciascuno per proprio conto, danno molte dispense, tanto internet, ora anche Facebook, col risultato che nessuno ascolta le lezioni nella logica che ‟comunque, da qualche parte starà scritto.” Ma la lettura ad alta voce mette in moto anche il nostro apprendimento emozionale, che passa per i gesti, i toni, le pause, gli sguardi. Adesso che la memoria non si conta in ricordi ma in Gigabyte e facilmente si estende, nessuno impara più a memoria. Ma se ripenso a come mi hanno tenuto compagnia certe frasi, me le sono ripetute dentro, non le ho lasciate andare, sono state per me incontri felici che continuavano ad accadere ogni volta che volevo e il mio corpo è stato per loro una fedele cassa di risonanza. Una didattica disincarnata è pericolosa. Me ne rendevo conto in geografia, quando sentivo il nome di fiumi lontani, il Don, il Tamigi erano per me concetti, qualcosa di astratto, non ci scorreva l’acqua. Erano altrove, nel mondo delle cose da sapere, nel mio non c’erano. E quando scrivevo in un’operazione il due, pensavo proprio al due, un numero vagamente simile a un cobra, ma non a due candele, due fidanzati, due etti di pasta. Era il mondo delle cose da sapere, i fiumi, il due, li pensavo, non esistevano davvero. L’apprendimento puramente intellettivo è stato vissuto per anni come una nobiltà, come se la mente fosse solo nella testa, ma viviamo in un mondo che è fatto di atomi e materia e le teorie devono avere gambe.
Eisik ha una teoria sbagliata, ma va da Cracovia fino a Praga per controllarla, gli risulta falsa, segue un’altra teoria, stavolta quella della guardia, e torna a Cracovia per controllare se sotto la stufa il tesoro c’è e c’è. Eisik procede per prove ed errori, il suo apprendimento parte dai piedi.
In un periodo storico di più istruiti che educati, di più intellettuali che intelligenti, stiamo dimenticando che la mente è anche nel corpo. A un bambino va insegnato come andare in bicicletta mandandolo in bicicletta, non spiegandogli la trasmissione della catena. Quando impariamo l’uso di un telefonino non leggiamo il manuale, passiamo dal saper fare al sapere come si fa.
Quello che è facile e concreto non è per questo meno nobile.
Una didattica disincarnata, ripeto, è pericolosa, perché ci restituisce corpi che sono istinti e basta e teste di pensieri che non ci riguardano: corpi animali e teste intellettuali. Minotauri al rovescio.
Esseri umani che si sono scordati gli esseri umani e di essere umani.

Lo studio delle maschere dovrebbe servire a toglierle.
La didattica non c’entra con la dialettica.
I sofisti sono passati di moda: adesso che dobbiamo badare al risparmio energetico, mi sembra una spesa eccessiva la fatica di credere a realtà sempre altre e diverse, come se tutto dipendesse da come si racconta e non da come è.
Siamo arrivati a concepire il precariato di chi ha una laurea, di chi fa ricerca, un tempo il precariato era della classe operaia e già quello suonava come un’ingiustizia. Siamo arrivati a non sentirci tutelati dalle nostre istituzioni mentre un tempo era l’istituzione a farci sentire specie protetta, a garantirci l’evoluzione. Siamo arrivati ed erano finiti gli amori facili, il lavoro sicuro.
Voi siete cresciuti col fantasma dell’Opera, noi con gli spettri dell’Aids e della disoccupazione.
Questa sensazione di essere capitati in un’epoca di avanzi è il più grande male con cui facciamo i conti ogni giorno perché, sapendo che dopo queste portate non c’è altro, si sta a tavola scomposti, col risultato che ci alzeremo e nessuno sarà sazio, neanche quelli che hanno mangiato tutto il possibile e in fretta. Ritroveremo solidarietà dopo che il pasto sarà consumato, forse.
Per adesso, comunque, ci stiamo abituando al vuoto senza confini.

‟Nel deserto il tentatore non è il diavolo, è il deserto stesso: tentazione naturale di tutti gli abbandoni.” scrive Pennac.

Nel deserto la prima tentazione è l’abbandono, lasciare e lasciarsi andare, perché è difficile pensare che possa arrivare qualcuno o semplicemente mettersi a costruire, il deserto non sembra avere fine.
C’è toccata un’epoca di poche idee e tante ideologie.
Se Eisik avesse dato retta alla guardia che gli diceva di non credere, di non cercare, questa storia sarebbe stata una brutta storia, ma una vera didattica insegna prima di tutto questo: a reagire.
Eisik senza arresa cerca la verità, sa che è una: il tesoro c’è o non c’è. Noi al posto suo probabilmente ci perderemmo in inutili sofismi, diremmo: il tesoro c’è e non c’è.
Il gioco delle verità moltiplicate l’ho visto fare più volte e da più parti, anche da chi non mi aspettavo. Adesso ha smesso di divertire, lascia solo confusione. Lo sappiamo tutti che una storia, la stessa, si può raccontare in mille modi: si può dire che Dio esiste o non esiste, che si chiama Buddha o Maometto, che dopo la morte si fa buio, che il buio è questo e dopo c’è la luce, che ci si reincarna in un cane, una stella, una foglia, una pianta. Ma la verità è una e una sola, anche se non la sappiamo e non la sappiamo dire. Piuttosto cerchiamola quell’una e una sola, ma non giochiamo con le versioni, non diamole tutte per buone, evitiamo la gara a chi vince. Sono disposta a perdere pur di capire.

Giulia Carcasi

Giulia Carcasi, nata nel 1984, è giornalista e scrittrice. Durante gli studi in Medicina ha esordito con Feltrinelli pubblicando il romanzo Ma le stelle quante sono (2005), a cui seguiranno …