Paolo Di Paolo: I ricordi in ghiacciaia

26 Maggio 2021

I grandi libri sono più disponibili di noi. Restano docili di fronte alla polvere, alle giornate di pioggia, anche a qualche sbadiglio. Non temono la convivenza, nello zaino o in valigia, con il pacchetto di crackers o con un powerbank. Tendono a non scaricarsi mai. Aspettano pazienti il momento. Non hanno preferenze orarie, non soffrono il jet lag. Quando siamo pronti per loro, loro sono pronti per noi. Ma come? Avevi detto che ti eri addormentato sulle prime pagine, che la storia non ti aveva preso... Bene, i grandi libri non sono permalosi, non portano rancore. Se hai deciso di tornare sui tuoi passi, loro non si sono mossi: l’istante in cui Charles Bovary ragazzino lancia il proprio cappello sul banco di scuola, senza riuscire a centrarlo, è fermo in eterno sul tasto pause, se premi play – se riprendi a leggere – ogni cosa riparte, intatta e nuova.

Può essere un vantaggio non averli ancora letti, i grandi libri, quelli che chiamiamo classici: ogni tanto penso con invidia a chi può fare per la prima volta compagnia a Jo March, o sfidare in pigrizia Tom Sawyer, cogliere come imprevisto il sussulto dell’omicida Raskol’nikov per una musica suonata in strada.

Quando mi chiedono di elencare le ragioni per cui valga la pena leggere i classici, vado in confusione. Non amo la retorica nobilitante: se i libri ci rendessero davvero “migliori”, le cose non andrebbero come invece vanno. Né mi pare che sempre si debba imparare: impari da un manuale d’istruzioni (genere peraltro obsoleto nell’era della tecnologia digitale), impari studiando, non necessariamente leggendo un romanzo. E non è forse questo il bello? Disporsi a non imparare niente, o a disimparare qualcosa. Non aggiusti nessun lavandino con i classici, non ripari nessun guasto: riempi tutt’al più qualche vuoto interiore, ma è anche probabile che una ferita in apparenza cicatrizzata possa riaprirsi (una certa pagina, una certa riga insistono proprio lì). E comunque: il sapere, la consapevolezza che offrono i grandi scrittori non è direttamente spendibile, non è concretamente utile. Voglio dire: che tu sia di fronte alla perdita di qualcuno, o anche solo a un’inadeguatezza adolescenziale, che tu debba capire come funziona la testa di una persona di cui ti sei innamorato, bene, è escluso che i romanzi possano esserti d’aiuto. «È adesso. Sei tu» scrive Martin Amis a proposito dell’esperienza umana. Nessuno può evitarti di essere di nuovo il primo: «È adesso. Sei tu».

E allora? Allora i romanzi, i grandi romanzi, lavorano sul dopo e sul prima. Mi verrebbe da dire come una coscienza sfasata, o – per seguire una similitudine pescata dal vastissimo repertorio di Proust – come un organetto di Barberia scassato. Uno strumento che non va a tempo. Mentre ti stai innamorando, ti stai innamorando. Non c’è nient’altro. Mentre stai piangendo disperatamente, stai piangendo. Però quando il cuore rallenta, quando gli occhi sono finalmente un po’ asciutti, allora hai il desiderio – qualche volta il bisogno – di rileggere gli eventi, e di riconoscerti. Può accadere nell’immediato, può accadere dopo anni, per caso. Ah, ecco, sì, proprio questo, proprio così. Guarda che sciocchi che eravamo a starci così male. Guarda come sono stato bugiardo, vile. Guarda come ho desiderato. Ma i grandi romanzi lavorano anche sul prima: anticipano, offrono presagi, presentimenti. Guarda, laggiù c’è il sesso. Laggiù, più lontano, la tua vecchiaia. Farò così? Sarò così? Mi sembra impossibile che si possa davvero invecchiare.

Una biblioteca di classici è come una ghiacciaia in cui siano stati custoditi i ricordi del mondo. Vuoi sapere com’era la mobilia sotto Napoleone III? Prenditi uno degli ultimi romanzi di Balzac. No, ma io sono curioso di come si dava la caccia alle balene a metà del diciannovesimo secolo. Va bene, eccoti Moby Dick. Io vorrei approfondire gli affari matrimoniali nel tardo Settecento. Opere complete di quel genio di Jane Austen. C’è tutto questo, e c’è anche, in contenitori più piccoli e più fragili, il tremolio di una foglia in un preciso pomeriggio estivo, il gesto di una zia che stringe una tazza calda fra le mani, il passo con cui usciamo da un ambulatorio medico, una mattina perfetta di luglio, con un cielo di un azzurro sconfinato, il misto di ansia e di sorpresa nel contare i soldi che ti sono rimasti nel portafoglio se hai quindici anni, lo squillo angosciante di una telefonata a tarda notte, la nota prolungata emessa da un uccello al mattino, un cestino abbandonato accanto a una canna da pesca, il timore di non sapere se puoi davvero fidarti, o se hai abbastanza coraggio. Sparsi e custoditi nei classici, ci sono i tuoi ricordi e i miei, compresi quelli che ancora devono arrivare. Lampeggiano come la luce verde di là dal molo nel Grande Gatsby.

L’esattezza di ogni singola frase di un grande libro è il più straordinario conservante che l’umanità abbia prodotto. Farò un solo esempio, e lo prendo da un romanzo di Flaubert che amo molto e che si chiama L’educazione sentimentale. Un titolo che vale come catalogazione generale per l’intero sforzo compiuto dalla letteratura nel corso dei secoli – un ininterrotto, esagerato esercizio di educazione sentimentale – e in fondo anche per le nostre esistenze. Faccio un unico esempio, siamo verso la fine del romanzo (non temete, non dirò troppo). Dopo una lunga separazione il protagonista Frédéric rivede l’amata Madame Arnoux. Lei – scrive Flaubert – «accettava incantata quell’adorazione per la donna che non era più». E poi c’è questo breve dialogo, che trascrivo qui, come la prova infallibile di come otto righe di un grande classico possono custodire, conservare i ricordi passati e futuri di chiunque. Se non fosse un po’ enfatico, direi: la verità intramontabile delle vicende umane sotto qualunque cielo. L’ho detto.

Le si rischiarò il viso, e volle sapere se si sarebbe sposato.

Giurò di no.
“È proprio vero? Perché?”
“Per causa vostra” disse Frédéric stringendola

fra le braccia.
Madame Arnoux non si ritraeva, il busto all’indietro, la bocca socchiusa, gli occhi al cielo. A un tratto, lo respinse con aria disperata; e, siccome la supplicava di rispondergli, chinando il capo, disse:

“Avrei voluto rendervi felice.”

I classici compagni di scuola di Paolo Di Paolo

Immagina una classe fatta dai protagonisti dei classici della letteratura: ciascuno con i suoi pregi e difetti, sogni e avventure da raccontare! Estroverso come Passepartout. Intemperante come Jo March. Avventuroso come Tom Sawyer. Ribelle come il Barone Rampante. Ostinato come Oliver Twist. Sag…

Paolo Di Paolo

Paolo Di Paolo è nato nel 1983 a Roma. Ha pubblicato i romanzi Raccontami la notte in cui sono nato (2008), Dove eravate tutti (2011; Premio Mondello e Super Premio Vittorini), Mandami tanta vita (2013; finalista …